giovedì 9 agosto 2007

la nozione di sacro e canonico secondo il Concilio Vaticano I

Si studierà qui la nozione di libro sacro e canonico secondo la fede della Chiesa. Questa viene espressa dal Concilio Vaticano I, Costituzione dogmatica de fide catholica Dei Filius, terza sessione del 24/4/1870. Il tema è trattato nel capitolo II.
Rilevo che le due costituzioni promulgate dal Concilio Vaticano I hanno valore dogmatico nel corpo stesso del testo, a differenza dei documenti del Concilio di Trento, in cui il carattere dogmatico compete ai canoni, piuttosto che non al testo precedente.
Così dice la costituzione Dei Filius (evidenzio in grassetto le novità rispetto al Concilio di Trento):
“Haec porro supernaturalis revelatio, secundum universalis Ecclesiae fidem, a sancta Tridentina Synodo declaratam, continetur in libris scriptis et sine scripto traditionibus, quae ipsius Christi ore ab Apostolis acceptae, aut ipsis Apostolis Spiritu Sancto dictante quasi per manus traditae, ad nos usque pervenerunt. Qui quidem veteris et novi Testamenti libri integri cum omnibus suis partibus, prout in eiusdem Concilii decreto recensentur, et in veteri vulgata latina editione habentur, pro sacris et canonicis suscipiendi sunt. Eos vero Ecclesia pro sacris et canonicis habet, non ideo quod sola humana industria concinnati, sua deinde auctoritate sint approbati; nec ideo dumtaxtat quod revelationem sine errore contineant; sed propterea, quod Spiritu Sancto inspirante conscripti Deum habent auctorem, atque ut tales ipsi Ecclesiae traditi sunt.

A semplice lettura si nota che il Vaticano I riprende le parole di Trento, citate e commentate nel post precedente. La novità è che la Dei Filius spiega in che senso la Chiesa accetta i libri dell'AT e del NT come sacri e canonici.
Per farlo, illustra dapprima alcune spiegazioni teologiche insufficienti, dibattute nei secoli intercorsi dopo il Concilio di Trento, e specifica che esse non rendono ragione di ciò che intende la Chiesa quando afferma che i libri dell’AT e del NT sono sacri e canonici:
a) I libri sacri non sono tali in quanto, dopo essere stati composti da uomini, sono stati poi approvati dalla Chiesa (teoria della approvazione susseguente). Neppure se la Chiesa impegna la propria infallibilità può rendere sacro un libro che non lo è. Occorre infatti non confondere il fatto che uno scritto sia vero (e che la Chiesa lo dichiari tale infallibilmente) con il fatto che sia Parola di Dio.
Le dichiarazioni solenni dei Concili sono vere, in quanto dichiarate infallibilmente tali dalla Chiesa, il cui Magistero è assistito dallo Spirito Santo. L’assistenza dello Spirito Santo comporta il fatto che i documenti del Magistero sono sempre autorevoli. Il Magistero solenne, poi, è infallibile. Ma anche allora ne discende soltanto che ciò che insegna è vero, non che è Parola di Dio.
L’ispirazione arriva più lontano: i testi della Bibbia non sono soltanto veri, sono anche parola di Dio. Il Magistero non fa altro che riconoscere (infallibilmente) qualcosa che già prima Dio aveva donato.
b) I libri sacri non sono tali perché contengono senza errore la Rivelazione. Ogni formula dogmatica, a partire dal Simbolo niceno-costantinopolitano, contiene la Rivelazione senza errore, ma ciò no basta a far sì che diventi Parola di Dio. Altrimenti aggiungeremmo alla fine del Nuovo Testamento il Simobolo delle fede e i dogmi successivamente definiti. E invece non lo facciamo.

Positivamente, il VaticanoI insegna che i libri sacri “Spiritu Santo inspirante conscripti, Deum habent auctorem, atque ut tales ipsi Ecclesiae traditi sunt”.
Vorrei sutdiare la struttura dell’affermazione conciliare: i libri sacri (A) e canonici (B) sono tali perché ispirati dallo Spirito Santo (A') e ut tales traditi (B'): essa contiene dunque insieme la definizione di sacro e di canonico, che possiamo ora esplicitare.
a) libri sacri: il loro autore principale è Dio. Questo va creduto, non può essere visto, e per questo lo dice il Concilio. Il Concilio non dice esplicitamente che hanno anche un autore umano, perché questo dovrebbero essere scontato. Ma ci si potrebbe domandare: la Dei Filius vuol forse dire che l'autore umano non è vero autore? risponde il Concilio Vaticano II, con la Costituzione dogmatica Dei Verbum (Vaticano II): gli autori umani sono veri auctores. Essi ricevono l’ispirazione dallo Spirito Santo e sotto la sua influenza scrivono questi libri. In modo che il libro intero va attribuito a Dio come autore e all’uomo come “autore sacro”.
b) Libri canonici: come sacri sono stati affidati alla Chiesa. Si aggiunge dunque un’altra nozione: l’affidamento dei libri sacri alla Chiesam che riceve in essi un dono di Dio. La Chiesa riconosce i libri sacri in forza del sensus fidei del popolo di Dio, il quale è infallibile nel credere. Il Magistero, poi, è infallibile nell’insegnarlo. E’ quanto è successo: il popolo ha tramandato i libri, i Pastori hanno specificato quali essi siano, allorché sono sorti dubbi.

Già nel IV e V secolo ci sono concili provinciali (africani) che contengono liste di libri sacri e canonici. Poi i Concili Ecumenici propongono liste intere. Firenze (nella Bolla di unione con i copti “Cantate Domino”, del 4 febbraio 1442), dove peraltro non s'intende definire un domga, e Trento, dove invece è definita dogmaticamente la lista dei libri sacri e canonici. Il Vaticano I aggiunge la definizione relativa all’ispirazione.

Dunque, quanto alla realtà, prima esiste il libro sacro e poi è ricevuto dalla Chiesa come canonico. Nell’ordine della nostra conoscenza, invece, noi sappiamo in primo luogo quali sono i libri accolti dalla Chiesa e attraverso la lista dei libri canonici conosciamo con certezza quali sono i libri sacri. La nostra conoscenza procede a posteriori: dagli effetti, a noi più noti benché posteriori nella realtà, risaliamo alla causa, a noi meno nota benché precedente nella realtà.

La conoscenza della ispirazione dei libri parte dunque dalla Tradizione (l’uso nella liturgia, nella vita spirituale, nella catechesi, nell’insegnamento della Chiesa). Non parte dalla conoscenza dei nomi e dell'indole degli autori dei libri. Sia perché vi sono santi e profeti che non scrivono libri, sia perché alcuni agiografi non sono profeti, dato che come loro stessi affermano raccontavano piuttosto interrogando testimoni. Per esempio san Luca riferisce che per scrivere sui fatti e i detti di Gesù ha con diligenza intervistato i testimoni oculari e i servitori della parola. Quando poi scrive sulla base di quel materiale gode del carisma dell’ispirazione. Il suo giudizio in questo è guidato da Dio: il suo Vangelo è parola di Dio. Di alcuni autori dell’AT non conosciamo neppure il nome. Molti libri inoltre attraversano diverse fasi editoriali (seconda e terza redazione di Isaia, le parti più recenti del Pentateuco). Eppure di tutti questi libri sappiamo con certezza che sono sacri e canonici, chiunque fosse l’autore ispirato. L’affermazione della ispirazione e della canonicità di un libro non parte da una ricerca storico-archeologica, ma dalla tradizione.
Se ci sono dei dubbi sull’autenticità paolina di una lettera o di una parte di un libro, ci troviamo di fronte ad un problema letterario, che può essere anche importante, giacché ci potrà aiutare per l’interpretazione di quel brano o di quel libro, ma non ci dice nulla sulla canonicità.
Ecco perché si può fare esegesi all’interno della fede o senza metterla a repentaglio: gli esegeti non ci tolgono il terreno sotto i piedi a colpi di critica storico letteraria.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Egregio professore,

mi permetta di rivolgergli una domanda. Da tanto tempo sto cercando di risolvere un “rebus”, per me, e non riesco a trovare la risposta anche se ho consultato diversi articoli e pubblicazioni.

Ho bisogno di sapere qual è la forma del testo ispirato della Scrittura. Lo è il Testo Masoretico per l’AT? Il Nestle - Aland per il NT? La Vulgata? E’ ispirato il manoscritto di Isaia trovato a Qumran e oggi esposto al Museo del Libro di Gerusalemme? I Papiri Chester Beatty?

E le traduzioni attuali che si fanno partendo dai testi “originali” (anche se non ce li abbiamo)? Molte di esse divergono, e allora qual è il testo ispirato, il testo che gode dell’inerranza? Quello della CEI?, La TOB? La Bibbia Emmaus? Quando ho una qualsiasi Bibbia in mano posso dire di avere fra le mani il testo che la chiesa considera ispirato anche se i testi divergono fra di loro?

O il carisma dell’ispirazione del testo è da considerarsi in generale: ogni testo biblico è ispirato e canonico e quindi normativo? Ho fatto attenzione che alcune traduzioni della Bibbia quando arrivano al testo di Isaia “la Vergine concepirà e partorirà…..” Lo mettono in nota perché risalente alla LXX e invece nel corpo del testo mettono la versione ebraica “la giovane donna…”. Ma per la Chiesa la versione ispirata non è la prima? E allora perché si permettono di mettere in nota il testo ispirato? Se la LXX è riconosciuta come testo ispirato perché non ci sono delle traduzioni in italiano, perché i fedeli non possiamo attingere a questo testo e tutte le traduzioni si basano praticamente sul Testo Masoretico, che se non sbaglio è molto recente? Ma gli apostoli ed evangelisti ed i primi cristiani non avevano davanti a se, e consideravano la LXX come testo ispirato e normativo?

La prego di illuminarmi perché nell’attuale mare degli studi biblici non riesco più a vedere chiaro.

Grazie,

Andre Bissoli

Marco V. Fabbri ha detto...

Capisco la trepidazione suscitata da questo rebus. Non credo di saperle dire cose che già non sappia, ma spero di poterla aiutare a ordinare alcune conoscenze.

1) Come sappiamo che un testo è ispirato? Non possiamo vedere in azione il carisma dell'ispirazione, né possiamo sapere che quanto scriverà un certo autore sarà ispirato. Veniamo a sapere che un testo è ispirato soltanto a posteriori, in quanto la Chiesa l'ha accolto e riconosciuto come tale.

Lo sappiamo cioè quando è già entrato nella tradizione della Chiesa, diventando canonico.

2) Ora, perché i testi siano accolti occorre che siano letti da molti, in tempi e in luoghi diversi. Dunque occorre che il testo sia riprodotto. Perché sia riprodotto, occorre che sia copiato. E, visto che i testi antichi sono manoscritti, che sia copiato a mano.

3) Sappiamo anche che, nel riprodurre a mano un testo, si introducono inevitabilmente delle modifiche. Di fatto, non ci sono due manoscritti uguali.

4) Concludiamo che il testo canonico, cioè il testo sacro affidato alla Chiesa, è necessariamente polimorfo, cioè accoglie necessariamente in sé delle varianti testuali.

Noi viviamo dopo l'invenzione della stampa: da allora, le copie stampate in una sola tiratura sono uguali fra loro.

Viviamo anche dopo l'invenzione dei computer, che possono leggere e ricercare un testo digitale che può essere riprodotto all'infinito rimanendo identico a se stesso.

Viviamo anche dopo l'invenzione di internet, che permette di pubblicarlo e renderlo così accessibile a tutti in tempi molto stretti.

Nell'antichità la situazione era molto diversa. I limiti alla diffusione dei testi scritti erano molto maggiori. La trasmissione della Parola di Dio deve fare i conti con questi limiti.

I Padri della Chiesa stabiliscono un parallelismo fra l'incarnazione della Parola vivente in Gesù Cristo e la sua trasmissione nelle Scritture. Come la Parola di Dio si è fatta carne, cioè ha assunto la nostra umanità nella sua condizione storica di debolezza, così lo Spirito Santo ha accettato la debolezza degli antichi libri manoscritti.

Non dobbiamo allora vedere la molteplicità delle lezioni e delle traduzioni come uno schermo opaco che si interpone fra noi e la Parola di Dio, rendendoci difficile l'accesso. Come i discepoli dovevano fare un pezzo di strada per ascoltare Gesù, e poi forse, nella folla, si perdevano qualche parola e ne dovevano chiedere conferma ai vicini, così anche noi abbiamo la nostra ricerca da fare.

Ha ragione quindi quando suggerisce che sacro e canonico è il complesso della tradizione testuale. Non siamo ridotti a cercare l'unica forma testuale canonica fra tante varianti. Sono tutte valide, e nessuna lo è in modo esclusivo.

Sarà lecito perciò tradurre Isaia dall'ebraico, e sarà lecito anche tradurlo dal greco. Se prende la recente traduzione della CEI, vedrà che alcuni libri sono proposti secondo due forme testuali. Provi a guardare Ester, o Tobia, o il Siracide. La Chiesa cattolica non sente di dover scegliere fra Giudei e Greci.

Per Isaia 7,14 la rimando al post dedicato espressamente al passo. Posso aggiungere qui che un conto è tradurre il passo come appare in Isaia, e un altro è tradurlo come appare in Matteo. Isaia può essere inteso in un modo o nell'altro. In Matteo il punto è proprio che la giovane donna non ha conosciuto uomo, e ha concepito senza intervento di uomo: è Vergine e Madre.