lunedì 6 agosto 2007

quali sono i libri sacri e canonici?

Si è espresso in proposito il Concilio di Trento, nella sessione IV, dell’8 aprile 1546. Come in ogni sessione del Concilio tridentino, occorre distinguere il primo decreto, di carattere dogmatico (de fide) dal secondo decreto, di carattere disciplinare (de reformatione). Il primo decreto ha importanza perenne, giccché definisce dogmaticamente il Canone delle Scritture. Il secondo è riformabile.

Il 1° decreto è intitolato “Recipiuntur libri sacri et traditiones apostolorum”.
Dopo aver riportato l’elenco dei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, il Concilio dice:
Si quis autem libros ipsos integros cum omnibus suis partibus, prout in Ecclesia Catholica legi consueverunt et in veteri vulgata latina editione habentur, pro sacris et canonicis non susceperit, et traditiones praedictas sciens et prudens contempserit: anathema sit .
Il criterio per discernere i libri sacri è il fatto di essere contenuti nell'antica edizione vulgata latina, mediante la quale “in Ecclesia Catholica legi consueverunt”.
La Vulgata latina è una raccolta di libri che al tempo del Concilio di Trento ormai da 1000 anni la Chiesa Cattolica stava leggendo come parola di Dio. Questo è il criterio seguito dai Padri conciliari per definire quali libri sono canonici: la tradizione viva della Chiesa. Per mille anni i libri contenuti nella Vulgata sono stati letti nella Chiesa come parola di Dio, che ha alimentato la liturgia, la preghiera, la riflessione teologica.
Nel secondo decreto (de reformatione) si prescrive invece di usare nella liturgia la Vulgata e non gli originali o altre traduzioni; si afferma inoltre che nelle discussioni teologiche la citazione della Vulgata avrà valore di prova. A differenza del primo decreto il secondo parla di traduzione in quanto tale. giacché si tratta di un decreto disciplinare e non dogmatico, non si può dire che la Vulgata in quanto traduzione non è migliorabile. Tant'è vero che in seguito la Chiesa cattolica ha riformato il secondo decreto, quando Papa Giovanni Paolo II ha pubblicato la Nova Vulgata, nel 1979 (II edizione nel 1985). La Nova Vulgata riforma e corregge la Vulgata in quanto traduzione. Di conseguenza gli esegeti possono liberamente criticare la traduzione che di un determinato passo si trova nella Vulgata. Né esiste un'unica traduzione possibile, né tantomeno la traduzione della Vulgata è l'unica possibile.

Torniamo al decreto dogmatico, dove si trova il riferimento alla Vulgata come “luogo” dove rinvenire i libri sacri e le loro parti. Nella parte che contiene la definizione di fede il decreto è irreformabile.

Ci soffermiamo a commentare brevemente la frase con la quale il Cocilio di Trento accoglie i libri dell’Antico e Nuovo Testamento, “libri integri cum omnibus suis partibus”, come sono contenuti nell'antica edizione Vulgata latina.

Che cosa intendono i Padri conciliari per libri integri? Sembra che facciano riferimento alla trasmissione del testo. Per esempio: nel Vangelo di Luca si riferisce che Gesù, nell’orto degli ulivi, sudò sangue. Non tutti i manoscritti riportano questa frase (i più antichi la omettono), ma una tradizione l’ha tramandata ed essa è presente nella Vulgata. Se perciò la critica testuale arrivasse alla conclusione che il sdore di sangue non appaartiene all'archetipo del testo, non per questo il fedele cattolico dovrà negare il carattere sacro del versetto espunto.
Un caso più importante è quello di Gv 7,53-8,11, che contiene la celebre pericope dell’adultera. Orbene, essa manca nei manoscritti più antichi: compare a partire dal Codex Beza e s'impone nella trdizione manoscrita successiva. Vi sono anche importanti motivi interni (specialmente i termini non giovannei che vi ricorrono) che inducono gli studiosi a escludere che la pericope facesse parte dell'archetipo di Giovanni. Non per questo la percipoe è da considerarsi non canonica. Anzi, i Padri di Trento la menzionarono espressamente nelle loro discussioni, e con l'espressione “libri integri” intesero affermarne la canonicità. Il fedele cattolico è libero di accogliere le conclusioni della critica testuale, che espunge la pericope dalla ricostruzione dell'archetipo di Giovanni; tuttavia, la pericope in sé conserva tutto il suo valore di Sacra Scrittura. Si tratta di un testo sacro a cnonico, scritto da autore sconosciuto, conservato nella Chiesa e, a partire dal V secolo, inserito nel Vangelo secondo Giovanni. Quando nel Medioevo vengono numerati i capitoli, la pericope resta al confine fra il 7° e l'8° capitolo di Giovanni.
Un altro caso, anch'esso espressamente sollevato nelle discussioni conciliari, è quello di Marco 16,9-20, la cosiddetta “conclusione lunga” del Vangelo. Essa manca nei manoscritti più antichi, che terminavano in Marco 16,8, con parole che inteprellano fortemente il lettore inviandolo a prendere posizione rispetto alla risurrezione di Gesù (non dissero niente a nessuno, perché avevano paura). La sintassi di Marco 16,9-20 è diversa da quella del resto del Vangelo. Inoltre l'autore mostra di conoscere i racconti pasquali di Matteo, Luca e Giovanni. Sembra logico dedurne che la conclusione fu aggiunta da un redattore diverso dall'Evangelista, per offrire ai lettori, insoddisfatti della chiusa originaria, un resoconto armonico delle apparizioni del risorto. Ora, tale valutazione mette forse in discussione il carattere sacro e canonico di Mc 16,9-20? La risposta dei Padri di Trento è negativa. La chiusa del Vangelo è stata letta dalla Chiesa come parola di Dio, e la tradizione della Chiesa è fonte di conoscenza della rivelazione. Facendo due più due, si può concludere che Mc 16,9-20 fu composto da un autore ispirato il cui nome non ci è noto.

Consideriamo ora l'espressione conciliare “cum omnibus suis partibus”. Vi sono nella Bibbia libri di carattere composito. Ad es., Daniele ha 12 capitoli in lingua semitica (in ebraico e in aramaico). Essi sono stati tradotti in greco e sono confluiti nella versione dei LXX. Questa versione raccoglieva anche due libri brevi, la storia di Susanna e il libro che narra la storia di Bel e il Serpente: in entrambi compare Daniele come personaggio. Nei diversi manoscritti dei LXX i due piccoli libri hanno collocazioni differenti. Visto che nella storia di Susanna Daniele è un bambino, in alcuni manoscritti questo libro inizialmente separato si trova prima del libro di Daniele (con i 12 capitoli in lingua semitica), e alla fine è aggiunto invece Bel e il serpente.
San Girolamo, quando ritradusse i profeti dall'ebraico (e, nel caso di Daniele, in parte dall'aramaico), collocò la storia di Susanna e quella Bel in appendice al libro di Daniele. Nel medioevo le due appendici divennero il 13º e 14º capitolo di Daniele.
Alla luce del Concilio di Trento, non possiamo dire che soltanto Dn 1-12 è sacro e canonico; sacri e canonici sono infatti i libri contenuti nella Vulgata, come sono stati letti nella tradizione della Chiesa.

Commentiamo infine il termine usato dal Concilio, quando parla della Vulgata come "edizione". Non se ne parla dunque come traduzione. Il Concilio fa piuttosto riferimento al lavoro editoriale, consitente nella selezione dei libri. Chi ha copiato a mano ha scelto di inserire i quattro Vangeli a noi noti e di lasciare fuori il Vangelo di Tommaso o il Vangelo degli Ebioniti.
Dicevamo che la vulgata come traduzione può essere rivista. Lo hanno fatto Papa Sisto e Papa Clemente (con l’edizione Sisto-Clementina) e l’ha fatto Giovanni Paolo II (portando a compimento quanto iniziato da Paolo VI) con la Neo Vulgata.
E’ importante anche non identificare la Vulgata di cui parla il Concilio di Trento con la Sisto-Clementina. Il decreto dogmatico di Trento parla di "antica edizione Vulgata latina". Ora, nel 1546 la Vulgata Sisto-Clementina non esisteva ancora. Essa è stata preparata in applicazione del II decreto (disciplinare); dapprima venne pubblicato da papa Sisto, che intervenne liberamente sul testo, con correzioni e presunti miglioramenti linguistici, poi da papa Clemente, che eliminò le correzioni apportate dal suo predecessore.
Dell'antica Vulgata latina esistono oggi edizioni critiche scientifiche, che cercano di presentarne l'archetipo, riucostruito mediante la collazione dei manoscritti esistenti . Esse sono la Biblia Sacra Stuttgartensia, a cura di R. Weber, e la Biblia Vulgata della Abbazia di San Benedetto in Urbe (iniziata su incarico di Paolo VI). Purtroppo quest'ultima edizione contiene solo l'Antico Testamento, né è previsto che il lavoro ormai interrotto venga proseguito.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro padre, complimenti per il blog. Parlando di libri canonici, lei pi potrebbe dire qualcosa sull'esegesi canonica? Il Papa ne parla nei suoi libri. Ho letto pubblicazioni ma parlano sempre dal punto di vista teoretico. Ma qual'è il suo metodo concreto? Si parte con il metodo storico-critico e poi come si procede? Ci sono dei libri che ne parlino dal punto di vista metodologico? Dando uno sguardo ai siti web di diversi centri di studio biblico a Roma vedo che questo approccio non è inserito nei diversi trattati. Lo stesso, per esempio, nelle tesi in teologia biblica della PUG. Grazie
Carlo